di Franco Astengo
La ricorrenza dei dieci anni dalla scomparsa di Lucio Magri si verifica in un momento di massima difficoltà per la democrazia a livello globale e, in particolare, in Italia dove si sta scivolando verso un mutamento “de facto” della Costituzione Repubblicana .
Si sta, infatti, arrivando a una forma surrettizia di presidenzialismo quasi come punto di saldatura del trentennio populista avviato con la vittoria elettorale del 1994 conseguita dalla “duplice alleanza” con lo sdoganamento dei neo-fascisti.
Il quadro complessivo di questo complicato stato di cose è reso ancor più difficile da interpretare e affrontare , nello specifico della situazione italiana, in assenza di una adeguata soggettività della sinistra.
Manca una soggettività capace di interpretare la fase della post- modernità in una chiave , insieme, di richiamo alla tradizione storica e di proposta alternativa alle correnti dominanti che agiscono, pressoché incontrastate, in una dimensione di sopraffazione economica, politica, sociale.
Una fase, questa che stiamo vivendo, resa maggiormente complessa dell’emergenza sanitaria, al riguardo della conduzione della quale da parte nell’establishment si stanno innestando forme di preoccupante ribellismo, come sempre funzionali al sistema.
Mi scuso per la sintesi tirata giù con l’accetta e sicuramente criticabile ma non ho trovato di meglio per rivolgermi alla compagne e ai compagni che stanno lavorando ad organizzare un momento di incontro per ricordare Lucio Magri, la sua opera e il suo pensiero.
Mi interessa, infatti, sottolineare un punto: siccome (come giustamente fu fatto notare nella commemorazione svolta alla Camera nei giorni della sua scomparsa) Lucio non amava la politica “predicata” ma quella “praticata” ( e su questo punto abbiamo avuto in seguito larghi riconoscimenti nella valutazione del suo operato e se vogliamo anche di quello dell’insieme della comunità cui abbiamo appartenuto assieme a lui) ritengo sia il caso di sviluppare alcune annotazioni nel merito di questo ricordo che si sta preparando.
Innanzi tutto non deve trattarsi di un ricordo ma di un momento di iniziativa e di pratica politica: abbiamo ancora il diritto e il dovere di esprimerci proprio come soggetto politico.
Un soggetto politico anomalo perché non costituito ma che è depositario di un portato di capacità analitiche, di conoscenza, di storia militante tali da permetterci di affrontare sul serio il nodo di una proposta di recupero di adeguatezza alla fase da parte della sinistra italiana.
Mi interessa qui sottolineare due spunti dell’elaborazione sviluppata nel tempo da Magri che possono servire come traccia del lavoro che ci aspetta: il primo riguarda la relazione al convegno di Bellaria (settembre 1977) quando si analizzò e si definì l’analisi della conclusione del ciclo che possiamo definire “della nuova sinistra”; il secondo concernente la relazione svolta ad Arco nel seminario tenuto (autunno 1990) dalla mozione del “no” alla proposta di Occhetto di liquidazione del PCI.
In entrambe le occasioni(come in altri contesti) risaltò in Magri la capacità di sviluppare prima di tutto l’analisi della situazione politica prima di annunciare e compiere le scelte che via via dovevano sempre essere conseguenti e coerenti all’analisi stessa.
Non c’era mai nulla di improvvisato nelle proposte politiche:nulla era lasciato all’emozione del momento, alla volontà di apparire e meno che mai all’idea di compiere delle scelte e avanzare delle proposte politiche sulla base dei sondaggi e degli umori correnti. Il legame delle proposte con la realtà del radicamento sociale doveva verificarsi per il tramite del soggetto politico, del partito, attraverso il quale era necessario compiere una duplice operazione, da un lato di ricezione della realtà sociale dall’altra di formazione nel senso di esercizio di una vera e propria “pedagogia delle masse”.
In questo senso Magri ( e il Pdup) non furono mai “eretici” o “minoritari”.
Era questa la lezione impartita dall’assunzione piena del cosiddetto “genoma Gramsci” che proprio Lucio ha ricordato con grande chiarezza ed espressione di spessore culturale nel suo “sarto di Ulm”.
Ad Arco la proposta contenuta nella sua relazione non fu accolta per via delle divaricanti (e sbagliate) analisi elaborate da Cossutta ed Ingrao e non si riuscì ad evitare la deriva verso cui si era incamminata la sinistra comunista in Italia fino ad auto-annientarsi e a scomparire.
Serve oggi pensare a un “Contro – Arco” :naturalmente non si tratta di ripartire da quel punto ma , nell’occasione di studio e dibattito che si sta preparando, di usare quel metodo e di essere capaci di porre davanti al nostro orizzonte una prospettiva di ricostruzione a sinistra nella quale operare con convinzione, senza porci il limite di auto-assegnazione di una sorta di “passatismo” nel cui recinto non è proprio il caso di costringerci.
Ho scritto questa nota al solo scopo di avviare preventivamente un dibattito allo scopo di stimolare la possibilità, in quella sede, di riuscire ancora una volta tutti assieme di andare avanti.