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L’Otto Marzo che resiste

di Maria Gabriella Branca

Ancora e ancora sussiste un deficit nel rapporto fra donne e politica, donne ed economia, donne e lavoro che rende la nostra società una democrazia non compiuta.

La nostra Costituzione riconosce i diritti della persona, come singola e nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità all’art. 2, mentre l’art.3 afferma il diritto di uguaglianza di tutti i cittadini, uomini e donne, nell’esplicazione della loro personalità ed attività in tutti i campi.

L’art.4 riconosce il diritto al lavoro, e quindi di pari dignità, che risulta essere un diritto essenziale per l’affermazione anche in questo senso delle donne; gli artt.29 e 30 affermano il principio di eguale diritti e dignità di uomini e donne in quanto coniugi e genitori, l’art 37 ha istituito, a parità di lavoro, gli stessi diritti della donna rispetto al lavoratore e il diritto alla stessa retribuzione; l’art. 48 ha concesso il diritto di voto “anche” alle donne e l’art.51 prevede l’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive “anche” alle donne.

Ma questo cammino dell’equiparazione e della stessa attuazione concreta delle norme costituzionali, non è stato facile né tempestivo.

E’ con una legge (del 9 febbraio 1963 n° 66) che alle donne è stato riconosciuto il diritto di entrare in Magistratura, mentre l’introduzione del divorzio è del 1970 (legge n.898/1970) e si è dovuto attendere la riforma del diritto di famiglia (legge n.151 del 1975) per intervenire in modo significativo sull’apparato normativo predisposto dal Codice Civile del 1942 (che vedeva la donna “angelo del focolare” sottoposta alla tutela maritale e patriarcale) e tentare di armonizzarlo rispetto ai diritti delineati dalla Costituzione.

Nel 1978 viene riconosciuto alla donna il diritto di interrompere la gravidanza e solamente dal 1981 le donne possono essere arruolate nel Corpo di Polizia dello Stato, mentre è stato necessario attendere il 1999 per la loro ammissione nelle Forze Armate.

Altra tappa incredibilmente tradiva è quella del 1981: viene finalmente espunto dal Codice Penale il “delitto d’onore” mentre si deve arrivare al 1996 affinché la violenza sessuale fosse finalmente riconosciuta come “reato contro la persona”, anziché come “reato contro la morale”.

Dal 2000 ad oggi molte norme si sono succedute nel tempo per la concreta applicazione del principio della pari opportunità, ma, ciò nonostante, l’Italia rimane uno dei paesi in cui sussiste un’evidente resistenza a riconoscere un ruolo maggiore e di pari dignità alle donne.

In questo vi è un retaggio culturale ma anche una grave miopia della politica che di fatto non è ancora stata in grado di comprendere che la minor partecipazione del genere femminile al mondo del lavoro ed alla stessa rappresentanza politica, non è una rivendicazione “femminista” ma un grave difetto della nostra democrazia.

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