di Maria Gabriella Branca
Tante sono le analisi che si susseguono per analizzare l’attuale crisi dei partiti, dei sindacati, della rappresentanza e alla fine anche della sinistra, di quella parte che sarebbe la nostra, di quel mondo che fino a non molto tempo fa, era in grado di motivare ed educare, programmare e pianificare, rispondendo alle esigenze della collettività, ma anche prendersi cura delle persone nella loro vita familiare, scolastica sociale e politica.
La responsabilità di quanto accaduto certamente la sentiamo su di noi, la avvertiamo parlando di quei tempi di lotte e conquiste, come di un periodo lontanissimo.
Abbiamo errato nel modo di rappresentare la base, nel non saper leggere i cambiamenti e la storia stessa, che poi è quanto è avvenuto in questi ultimi 25 anni.
Siamo passati dal dopoguerra al boom economico, dalle battaglie dell’autunno caldo al liberismo sfrenato, dalla caduta del muro di Berlino al disimpegno politico, alla personalizzazione della politica, alla discesa in campo del cavaliere, e poi giù giù fino a Renzi, che riesce a creare la faglia definitiva nella sinistra, annientando il valore del sindacato, stravolgendo lo Statuto dei lavoratori ed aumentando ancor più il precariato, comprandosi un’adesione al prezzo, davvero minimo di 80 euro procapite, per giungere all’apoteosi del “prima gli italiani” di salviniana creazione.
Il disastro attuale è stato realizzato tramite una specie di mutazione, una sorta di cambiamento del contenuto stesso dei valori ideali della sinistra che via via ha snaturato lo stesso contenitore e ci ha privati di quel patrimonio comune.
Si teorizza o comunque purtroppo si pratica, la conversione da partito di massa al cd partito liquido, il che ha prodotto l’abbandono prima delle piazze, poi delle periferie, e infine la diminuzione della partecipazione, non essendo più necessario (e nemmeno utile?) il confronto, senza accorgersi che la democrazia senza la partecipazione delle persone non può essere definita tale.
Una sinistra, che partecipa anch’essa alla personalizzazione della leadership, e apre senza remore ad una società civile indistinta, una sinistra “moderata”, maggioritaria, che darà vita a PDS, poi al DS e infine al Pd, per infilarsi dritta nelle fauci di Renzi.
Chi non rammenta le interviste ossequiose al Rottamatore e con quale becera soddisfazione egli si beava di questa sua maniacale attribuzione?
Questa sinistra si identifica con un modello liberista, sul piano delle scelte economiche, e addirittura centrista sul piano culturale, provocando ancora una volta l’attacco alla partecipazione: l’obiettivo è “governare” giungendo anche qui fino alla deforma della Carta Costituzionale ed alla legge elettorale cd Italikum.
Contro il Rottamatore di Rignano ha lottato a lungo quella sinistra che viene definita minoritaria, o nostalgica, quella cosiddetta “antagonista” o “radicale”, che in realtà non ha saputo rigenerarsi, confortarsi, riabbracciarsi: dalla sinistra Arcobaleno al Brancaccio, è tutta una storia di incomprensioni e disamore, in un rotolamento verso percentuali di consenso sempre più irrilevanti.
Da molti anni non abbiamo più una casa comune, un luogo ideale in cui ritrovarci, avendo perso in questo percorso migliaia e migliaia di compagni di viaggio, con alchimie elettorali poco efficaci, perché considerate marginali, e non già attraverso un progetto ampio e di lungo respiro.
Nella crescente desertificazione della coscienza, possiamo persino assistere alle interminabili file di profughi scalzi ammassati nella neve ai confini di Lipa o alla strage quotidiana di donne, uomini e bambini nel mare “nostrum”, senza sentirci minimamente coinvolti, anzi sentendoci assolti.
Quello che ferisce, in questo travaglio doloroso, è che abbiamo perduto persino il nostro linguaggio usuale, la parola SINISTRA, compagno, rappresentanza, popolo, etc. sono in disuso, non vengono più utilizzate perché paiono veteri ricordi di una liturgia superata ed inutile.
Forse, come nel famoso romanzo di Nicholas Sparks, “Le parole che non ti ho detto”, dovremmo tornare a riappropriarci delle nostre parole per capire ed interpretare quello che sta accadendo, per far sì che questa parte che è intelligenza, passione, amore, possa tornare a “parlare” dei problemi con le singole persone.
Perché, come ha detto qualche giorno fa Nicola Zingaretti, allo slogan “prima gli italiani”, si deve rispondere in un solo modo…. “prima le persone”.