di Franco Astengo (in merito all’intervento di Fulvio De Lucis)
Mi permetto soltanto alcune marginali annotazioni al prezioso lavoro di analisi teorica sviluppato dal compagno Fulvio De Lucis e pubblicato dal sito www.sinistrasavonese.it , nel merito del centenario di fondazione (e del trentennio dallo scioglimento) del Partito Comunista, prima d’Italia e poi Italiano:
1) E’ vero che il PCI non incontrò il movimento del’68 (salvo il tentativo di Longo con la tavola rotonda pubblicata da Rinascita). Ma è altrettanto vero che il ’68 ( e il ’69) incontrarono il PCI. Nel senso che quanto di rinnovamento percorse, in quella fase, la società italiana confluì sostanzialmente, sia sul piano organizzativo sia su quello elettorale nel Partito Comunista. Penso alla confluenza di quattro elementi che concorsero a definire quella fase: studenti, operai, nuovi diritti sociali e civili, dissenso cattolico. Tutte questioni interpretate da soggetti sociali vivi che contribuirono a spostare l’asse di riferimento del Partito mutandone anche la composizione sociale all’interno e negli stessi riferimenti elettorali ( questioni che poi si sarebbero viste meglio in seguito). Appare evidente che il PCI non si sarebbe avvicinato a due milioni di iscritti (quota raggiunta, invece, nel pieno della “guerra fredda”) superando i dodici milioni di voti senza la presenza viva e operante di tutte queste soggettività provocando un movimento di trasformazione della società italiana: tanto nel bene (diritti civili, modernizzazione nei rapporti di produzione, laicizzazione) quanto nel male (adozione del modello consumistico su basi di massa). Poi che tutto questo fosse racchiuso in un “involucro politico” di sostanziale autonomia dei processi istituzionali (leggasi compromesso storico e seguente declinazione al minimo come solidarietà nazionale) è un altro punto di discussione che andrebbe ripreso anche tra di noi;
2) Quando si parla di lascito elettorale non possono essere dimenticati alcuni passaggi. Primo fra tutti quello riguardante la effettiva suddivisione di voti come lascito del PCI avvenuta tra PDS e Rifondazione. Rifondazione ha goduto quasi esclusivamente di questo lascito in dimensione consistente tra il 1992 e il 2008 (in alcune occasioni toccando il 10%) senza riuscire a concretizzare alcunché sul piano del progetto politico e rimanendo sempre subalterna sul terreno vero delle sue crisi: quello del governo, dimostrando di non aver mai superato una sorta di sindrome massimalista che comunque stava nel DNA del suo gruppo dirigente accentuatosi anche nel passaggio della segreteria da Garavini e Bertinotti. Sindrome massimalista ben evidente anche nel rapporto tr Rifondazione e i movimenti, ben riassunta nell’adesione al Genoa Social Forum. Lascito elettorale, dunque, non meritato come quello del PDS perché ottenuto praticando un massimalismo che non stava certo nella tradizione del PCI e neppure in quella del PdUP (difatti la permanenza di Magri in Rifondazione fu molto breve). Nel frattempo il PDS poi DS con l’Ulivo mutava pelle: proprio quell’incontro già ricordato con il ’68 (e l’asprezza dello scontro con un movimento “plebeo” come quello del’77) aveva modificato la collocazione sociale del partito. Diciamo che una parte dell’antico insediamento operaio al Nord (maschilista e racchiuso nella vecchia logica dell’aristocrazia) al momento dello scioglimento del partito scelse la Lega; mentre l’intreccio con movimento studentesco (i cui protagonisti nel frattempo avevano fatto strada nella vita inoltrandosi nelle professioni, in particolare in quella di insegnante) e con il femminismo ha portato sempre più il PDS, DS e poi PD a trasformarsi in partito (ed elettorato) della cosiddetta “ZTL” con più voti ai Parioli che a Testaccio, oppure alla Crocetta che alle Vallette. Non va dimenticato, sviluppando questa analisi che in questa sede sviluppo in modo eccessivamente rozzo, l’aumento dell’astensione e il mutamento di ruolo e funzione dei partiti. Ricordo personale: ad Arco quando Ingrao pronunciò il famoso discorso sul gorgo Magri mi disse” tutto bene, ma dietro non ci viene nessuno”;
3) Il dato più rilevante emerso dallo scioglimento del PCI è stato rappresentato dal prodursi di un vero e proprio squilibrio del sistema politico italiano che era imperniato su due fattori costitutivi: il ruolo “pivotale” della DC e la “conventio ad excludendum”. “Conventio ad excludendum” tacitamente accettata da tutti e compresa nella cornice dell’arco costituzionale (da cui consociativismo in commissioni parlamentari e gestione delle giunte regionali e locali). Caduto il muro, come fu intuito subito da molti, la liquidazione del PCI avvenuta all’insegna dello “sblocco del sistema politico” causò un punto di irreparabile squilibrio provocando, assieme al trattato di Maastricht e a Tangentopoli un vero e proprio collasso sistemico. Di conseguenza lo scioglimento del PCI è risultato ben più decisivo di quelli successivi di DC e PSI, perché dallo scioglimento del PCI derivò l’idea del “bipolarismo” (incautamente accolta dal PDS e da Rifondazione sulla scia di Segni) breccia attraverso il quale si inocularono i mali peggiori che ancora affliggono il nostro sistema.
Mi scuso, infine, per l’eccesso di politicismo compreso in queste frettolose osservazioni.
Foto di Manfred Nimbs da Pixabay