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Un secolo: aspetti dimenticati

di Franco Astengo

Il vero e proprio florilegio di iniziative editoriali che sta accompagnando il centenario del Congresso di Livorno dimostra come l’esito di quell’assise segnali ancora oggi alla sinistra italiana la presenza di questioni irrisolte non soltanto sul piano storico ma anche, e soprattutto, sul terreno più direttamente politico.

Risaltano alcuni temi: quello della effettiva data di nascita del Partito Comunista che Canfora nel suo “Metamorfosi” colloca al 1944 con la svolta di Salerno; il rapporto doppiezza/riformismo affrontato da Paolo Franchi (”Il PCI e l’eredità di Turati”); il mancato approdo alla riunificazione socialista con la svolta della Bolognina (ne parla Silvio Pons su “Repubblica” in un intervento in realtà molto semplificatorio del ruolo svolto dalla componente “migliorista” nel processo di liquidazione del PCI e di formazione del PDS), oltre naturalmente alla “vexata quaestio” del rapporto con la rivoluzione d’Ottobre e l’Unione Sovietica, oggetto di svariate disquisizioni.

Si tratta soltanto di alcuni esempi: ormai il tempo della memorialistica sembra tramontato e compare un quadro complesso di ricerca storica e più direttamente politica che fin’ora era stato affrontato con effettiva capacità analitica soltanto da Lucio Magri nel suo “Sarto di Ulm”, un testo che rimane, a mio giudizio, ancora fondamentale per comprendere la realtà rappresentata dal PCI nella storia del ‘900.

Oggi può far riflettere la datazione individuata da Canfora: nel 1944 a Napoli con l’intervento di Togliatti al “Modernissimo” (testo citato nel volume) si avvia la vera fondazione del Partito Comunista con il passaggio da partito di quadri a partito di massa, in pieno adattamento con i modelli politici dominanti nel “Secolo Breve”.

Una ricostruzione, quella della periodizzazione a far data dal 1944, che però taglia fuori tutto il processo di fuoriuscita dall’impostazione data dalla corrente dominante al congresso di Livorno.

Un processo di fuoriuscita da quell’impostazione fondativa raccolta attorno al “Soviet” di Bordiga, poi culminato nel congresso di Lione del 1926 con l’assunzione della segreteria da parte di Gramsci.

Di questo passaggio avvenuto tra il 1921 e il 1926 si parla pochissimo, quasi una rimozione di tutto un periodo storico molto spesso semplicemente catalogato come lotta intestina.

Anche Canfora sottovaluta come la “ripresa” togliattiana del 1944 avvenne sviluppando un concetto gramsciano fondamentale che, anche se non esplicitato ( la parziale pubblicazione dei “Quaderni” fu avviata soltanto nel 1947) era già insito nelle “Tesi di Lione”: il concetto di egemonia, inteso quale vero e proprio punto di identità sul quale far poggiare il ruolo di governo che immediatamente il “Partito Nuovo” rivendicò e praticò superando “de facto” la funzione minoritaria del partito di quadri.

Quell’idea egemonica si rivolse immediatamente all’identità nazionale sovrastando così l’internazionalismo ben oltre il semplice e puro appoggio all’URSS, paese in guerra ma patria del “socialismo in un solo paese” e riempendo di contenuti (egemonia e identità nazionale) la tanto contestata “doppiezza”.

Egemonia e identità nazionale rappresentarono così i due pilastri sui quali il Partito Comunista portò i ministri nel governo Badoglio, fu presente nel CLN, guidò la Resistenza.

Egemonia e identità nazionale significarono poi quasi il marchio di identificazione del Partito per una lunga fase: si potrebbe dire fin dentro l’ipotesi dello stesso “compromesso storico”.

Questa ricostruzione appare ormai quasi come una “vulgata corrente”.

In questa fase di ricostruzione storica e di riflessione politica, si sta però rischiando di dimenticare due elementi che erano ben presenti al momento della svolta togliattiana e che pure si mostrarono nel corso del successivo cammino del più grande Partito Comunista d’occidente:

1) Il Partito Comunista, tra il 1926 e il 1944, aveva continuato a vivere nell’opera dei suoi militanti ben oltre il travagliato percorso compiuto in clandestinità, esilio, e nelle pieghe della tempesta staliniana (a Mosca e altrove). Aveva continuato a vivere pagando prezzi altissimi .Era stata mantenuta una continuità essenzialmente all’interno delle fabbriche. Nel 1929 il plebiscito voluto dal fascismo per l’elezione del proprio “listone” alla Camera dei Deputati ebbe 135.773 voti contrari (1,57%) dei quali 69.226 concentrati nel triangolo industriale Lombardia – Piemonte – Liguria, a dimostrazione di quanto si sta cercando di sostenere in questa sede della permanenza in piena dittatura di un quadro militante di fabbrica. Certo l’analisi relativa al voto del 1929 rimane un’indicazione parziale ma assolutamente significativa di un’identità e di una permanenza anche organizzata nella temperie degli arresti e del confino. Quei 135.773 voti sono quasi sempre dimenticati dalla storiografia corrente;

2) Dalla presenza nelle fabbriche è poi derivato il passaggio di quadri e militanti nella Resistenza. Anche questo è un dato spesso trascurato (anzi difficilmente rilevato) dalle tante ricostruzioni e analisi che stiamo leggendo in questi giorni. Si tratta però di un dato incontrovertibile pur all’interno di tutta la complessità di valutazione circa l’articolazione di presenze sociali e politiche messe in campo dalla Resistenza Italiana e nella stessa articolazione degli obiettivi resistenziali ( elementi messi ben in luce da testi fondamentali da quello di Pavone all’altro più recente di Flores – Franzinelli).

Rimane l’elemento della messa in ombra di questi due elementi : quello del permanere della presenza organizzata del Pcd’I durante il ventennio con sede prevalentemente in fabbrica e quello del passaggio dalla fabbrica alla Resistenza.

Vale forse la pena rammentarli, senza alcun richiamo di ritorno verso una vocazione identitaria, così come sarebbe il caso di aprire un capitolo su di un aspetto della vita nel dopoguerra del Partito Comunista ma non soltanto di esso: quello della funzione pedagogica di massa.

La funzione pedagogica del PCI è stata portata avanti ben oltre le scuole di partito che pure ebbero una funzione fondamentale nella costruzione della classe dirigente della Ricostruzione.

Funzione pedagogica che, naturalmente, non può essere attribuita in esclusiva allo stesso PCI ma da considerare vero e proprio patrimonio di quella “Repubblica dei Partiti” ormai tramontata e sostituita malamente da un quadro politico fragile e confuso come espressione di un vero e proprio sfrangiamento sociale.

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