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Morire su un binario delle ferrovie per rincorrere un sogno

di Gabriella Branca

Quiliano, una piccola stazione ferroviaria, dove non tutti i treni si fermano, però alcuni rallentano.

Sono quasi le 23.30 e per un gruppo di giovani curdi, undici in tutto, non è troppo tardi, anzi è l’ora giusta per provare a conquistarsi un pezzo di futuro.

Luci che si avvicinano, lo sferragliare del treno sulle rotaie viene coperto dai rumori delle auto che sfrecciano poco sopra, sulle corsie dell’autostrada e sulla superstrada.

E’ un attimo e due di loro vengono afferrati dal mostro di metallo, trascinati via e spariscono in un solo urlo che attraversa la valle.

Il treno arranca, stride, frena e lancia fischi disperati alla notte, ai ragazzi attoniti e senza più futuro, ai più che hanno ascoltato lo stridio terribile del freno e immaginato la tragedia, ai soccorsi che arrivano, in tanti.

Ma senza speranza.

Perché non c’è speranza, né futuro, negli occhi dei giovani curdi, che scappano dalla morte nel loro paese per morire sul binario di una ferrovia.

Il nostro è diventato un paese senza diritti, senza memoria, senza radici, con l’ansia del diverso e la paura dell’uomo nero, spacciate per errato bisogno di sicurezza.

Ad una legge Bossi-Fini che per molti troppi anni ha impedito l’integrazione e l’inserimento degli stranieri nel mondo del lavoro e nel contesto sociale, si sono aggiunti i cd decreti sicurezza di Salvini, violando e soppiantando il nostro dettato costituzionale dei diritti fondamentali.

Sono stati cancellati solamente il 19 dicembre scorso, dopo una rissa indecente all’interno del Parlamento.

Abbiamo dimenticato la storia della nostra grande civiltà, la capacità di comprendere ed includere per inseguire il liberismo economico e ancor peggio quello sociale.

Quello che insegna a disprezzare l’altro, che sia un povero, o un clochard, o nero o asiatico, ma basta che sia diverso: bianchi e neri, cattolici e protestanti, Occidente e Islam, hutu e tutsi, ariani ed ebrei, serbi e croati, autoctoni e immigrati, lombardi e terroni….

Secondo alcuni sociologi il razzismo odierno si inventa una narrazione del passato, è una costruzione artificiale della memoria collettiva operata attraverso la selezione di ricordi e informazioni che sottolineano aspetti di diversità rispetto ad altri, in modo da costruire una storia che serva a giustificare l’odio verso l’altro.

L’ANPI di Savona non può che rimarcare la necessità che rispetto a questa crisi di sistema, addirittura universale, vi sia una forte risposta e che non siano più sufficienti soluzioni parziali.

Le interdipendenze tra la crisi ambientale con il modello economico di sviluppo, e le migrazioni forzate, con la conseguenza di guerre, illegalità, corruzione, corsa al riarmo, razzismo, rigurgiti fascisti e crisi delle democrazie, sono evidenti.

È necessaria un’azione che coinvolga l’intera Europa, oggi incapace di rispondere al fenomeno delle migrazioni in modo corale, senza permettere agli egoismi dei singoli di prevalere.

Il valore della solidarietà costituisce la premessa indispensabile per la lotta alle disuguaglianze e per la difesa dei diritti.

La tragedia dei ragazzi curdi di Quiliano ci riporta alla mente la Profezia di Pier Paolo Pasolini, ma molti, troppi non hanno ascoltato le sue parole.

Alì dagli Occhi Azzurri

uno dei tanti figli di figli,

scenderà da Algeri, su navi

a vela e a remi. Saranno

con lui migliaia di uomini

coi corpicini e gli occhi

di poveri cani dei padri

(…)

Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,

a milioni, vestiti di stracci

asiatici, e di camicie americane.”

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